Notiziario 03 / 2019

D i g i t a l e & I n n o v a z i o n e | 2 9 della scena da acquisire viene scomposta. Nel passo successivo, per ricostruire il colore originale, il software interno della fotocamera ricalcola le componenti primarie su ogni pixel usando varie strategie ed algoritmi (interpolazione del colore o demosaicing, bilanciamento del bianco, correzione gamma) e vari altri metodi di ottimizzazione del colore. Infine l’immagine digitale è salvata sul dispositivo di memorizzazione della fotocamera nel formato selezionato dall’utente (tipicamente il JPEG) con opportuni parametri di compressione. I video digitali sono una naturale generalizzazione e possono essere definiti o come un segnale discreto che attua un campionamento temporale della scena reale (ovvero ad ogni istante la scena è “fotografata”) oppure attraverso la successione di istantanee appositamente composte. Tale sequenza è quindi costituita da una serie di frame, cioè dalle singole immagini che compongono il video, dette anche fotogrammi. Oltre che dalla necessità di contenere le dimensioni dei dati, al fine sia di memorizzarli che di trasmetterli, la compressione nel caso di sequenze video trae origine dalla necessità di garantire la riproduzione delle sequenze in maniera adeguata. Il framerate o frame (o immagini) per secondo, è l’unità di misura della frequenza di visualizzazione delle singole immagini che compongono il video. I parametri fondamentali da tenere in considerazione in quanto consentono (o meno) all’analista di estrarre le relative evidenze forensi sono: la risoluzione spaziale (che corrisponde al livello di dettaglio), il framerate (l’unità di misura della frequenza di visualizzazione delle singole immagini) ed il livello di compressione. Come già accennato uno dei temi sicuramente più rilevanti del settore riguarda il trattamento e la verifica di autenticità di reperti multimediali. Contrariamente a quanto si può immaginare, i primi esempi documentati di manipolazione delle immagini risalgono al 1860, cioè solo pochi decenni dopo la nascita della fotografia. A differenza di allora, la cui esecuzione era ad esclusivo appannaggio di pochissimi esperti, con l’avvento delle fotocamere digitali, videocamere e sofisticati software di editing fotografico, la manipolazione di immagini digitali sta diventando sempre più un’operazione alla portata dell’utente comune. Prima dell’avvento della fotografia digitale, molto raramente veniva messa in dubbio l’autenticità di una immagine presentata come fonte di prova in un procedimento giudiziario. Nel caso in cui fosse stato necessario corredare un fascicolo di indagine delle relative fotografie, era comunque prassi depositare anche la pellicola da cui queste provenivano, i cosiddetti negativi. In realtà anche questi ultimi potevano essere alterati, sia agendo fisicamente sulla pellicola asportando o aggiungendo alcune parti e poi sviluppando l’immagine dal negativo modificato, oppure duplicando il negativo con una apposita strumentazione dopo avere applicato opportune maschere atte a nascondere o inserire i particolari voluti. In entrambi i metodi però, le modifiche erano rilevabili da un occhio esperto: nel primo caso era sufficiente esaminare il negativo modificato per notare i ritocchi, nel secondo si sfruttavano le diverse caratteristiche

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