Notiziario 03 / 2019
D i g i t a l e & I n n o v a z i o n e | 3 1 Identificazione della sorgente Quando il sensore acquisisce una scena, anche nelle migliori condizioni di illuminazione, l’immagine digitale mostrerà comunque piccole variazioni di intensità tra i singoli pixel, a causa delle numerose fonti di rumore che intervengono nel processo di formazione dell’immagine. Tale rumore e’ composto da una componente casuale che dipende dal photon shot noise, rumore termico, ecc., e una componente fissa, dovuta al pattern noise, che lascia una traccia pressoché identica su tutte le immagini acquisite con lo stesso sensore. Il pattern noise si presta dunque ad essere usato per l’identificazione della fotocamera. In particolare, ogni fotocamera digitale possiede un sensore lievemente differente dalle altre dello stesso modello, per via di un “disturbo” univoco e riconoscibile, ciò permette di identificare il sensore a partire dalle immagini, sfruttando la stessa idea che ci consente di distinguere le tracce univoche lasciate dalle canne delle armi da fuoco sui proiettili. Il disturbo generato nelle immagini è legato sia al sensore in sé, che alle minuzie nella costruzione e nell’assemblaggio di ogni dispositivo. Questo assicura una differenza tra singoli dispositivi sufficiente a rendere improbabile la presenza di due camere che generino il medesimo disturbo, proprio come avviene per le impronte digitali. La questione si complica quando le immagini subiscono alterazioni di vario genere a seguito di processamenti da parte di applicativi software. è stato ormai dimostrato come la Camera Source Identification basata su “Pattern Noise”, non risulta essere sufficientemente valida su immagini elaborate anche con semplici editing (quali rescaling, cropping, ecc.) attraverso software di pubblico dominio quali ad esempio Photoshop o GIMP. Inoltre, le operazioni di ricodifica che vengono operate a valle, da uno qualunque di tali software, alterano pesantemente i valori del PRNU compromettendone l’efficacia [4]. Oggi, i Social Network consentono ai loro utenti di caricare e condividere un’enorme quantità di immagini: basti pensare che quotidianamente, si stima che su Facebook vengano caricate più di 300 milioni di immagini. Si definisce “Social Image Forensics” lo studio delle caratteristiche intrinseche delle immagini, pubblicate su un Social Network, al fine di identificare una sorta di “fingerprint” che tiri fuori delle evidenze, chiare e documentabili, tali da ricostruirne la “storia digitale” dell’immagine fin dall’acquisizione. Lo studio delle tematiche della “Social Image Forensics” è molto utile sia a scopo forense che investigativo: conoscere l’origine di una determinata immagine può infatti essere determinante in molti contesti. Le procedure di condivisione di dati ed in particolare di immagini digitali sulle piattaforme Social, introducono vari e diversi processi di editing già durante il processo di upload. Queste vere e proprie alterazioni sono principalmente attuate al fine di ridurre lo spazio fisico di archiviazione o ancora lo spreco di banda necessario per il trasferimento o per la fruizione da parte degli utenti finali. Tutto ciò fa decadere del tutto la cosiddetta integrità del file e rende ancora più complessa la fase di ricostruzione della storia dell’immagine, fino a distruggere del tutto ogni
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