Notiziario 03 / 2019

3 2 | N o t i z i a r i o O r d i n e d e g l i I n g e g n e r i d i V e r o n a e P r o v i n c i a informazione sull’acquisizione originaria. Risulta altresì chiaro come tali alterazioni dipendano da una molteplicità di fattori legati sia alla specifica piattaforma Social, su cui si realizza il caricamento dell’immagine, che alle caratteristiche delle immagini in termini di contenuto e di risoluzione. Si consultino [5,6] per ulteriori approfondimenti. Identificazione delle Contraffazioni Le tecniche utilizzate per individuare le manipolazioni (o forgery) si dividono essenzialmente in due categorie: metodi attivi e passivi. I metodi attivi prevedono l’inserimento di una segno distintivo (una sorta di “firma” detta anche watermarking digitale) nel dato digitale al momento della relativa acquisizione da parte del dispositivo. Uno dei problemi di tale approccio è costituito dalla difficoltà di inserimento in modo univoco in tutti i dispositivi esistenti mediante uno standard unico, oltre al fatto che tali “firme” si sono dimostrati poco resistenti a tentativi di rimozione fraudolenta. Al contrario, i metodi passivi sfruttano le alterazioni del contenuto statistico dell’immagine provocate dalle contraffazioni, e a sua volta si suddividono in: – Tecniche pixel-based: che individuano anomalie statistiche a livello di pixels; – Tecniche format-based: che fanno leva sulle correlazioni statistiche contenute nelle tecniche di compressione “lossy” (con perdita di dati); – Tecniche camera-based: che sfruttano gli artefatti introdotti in generale dall’hardware o dal software che interviene durante le varie fasi della formazione dell’immagine; – Tecniche physically-based: che mettono in evidenza le incoerenze tra le caratteristiche fisiche delle immagini reali ed i modelli fisico- matematici che li riproducono; – Tecniche geometric-based: che sfruttano le nozioni della teoria della formazione dell’immagine per confrontare misure fisiche di oggetti reali e le loro posizioni rispetto alla fotocamera. Casi di studio ed esempi pratici Tra i molti episodi in cui i metodi di cui sopra sono state utilizzati come strumenti di indagine, appare sicuramente degno di nota il caso della “mozzarella blu”: nel 2010 alcune mozzarelle in vendita presso la grande distribuzione, all’apertura della confezione presentavano una colorazione bluastra a chiazze, causata da alcune anomalie nel processo di produzione e dalla presenza di un batterio. Il sequestro del prodotto in tutti i punti vendita italiani ha dato al caso una risonanza mediatica oltremodo rilevante. Come conseguenza dell’episodio, si è assistito in rete al proliferare di immagini riproducenti mozzarelle colorate con le più svariate tonalità. Come ancora oggi è possibile verificare effettuando una ricerca sul web

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