Notiziario 03 / 2019
D i g i t a l e & I n n o v a z i o n e | 3 3 con le parole chiave “mozzarella blu”, numerose immagini provengono da alterazioni artificiose delle componenti “cromatiche” della medesima foto, con il chiaro intento di enfatizzare il messaggio codificato nell’immagine. Mediante l’ispezione di alcune caratteristiche di base delle immagini, ad esempio il loro istogramma si sono messe in evidenza le numerose manipolazioni e, tramite l’acquisizione “forense” dei dati nei siti in cui erano presenti le immagini, si è individuata anche la presunta fonte di prova inquinata iniziale [7]. Bisogna quindi riflettere anche sull’interpretazione semantica del termine “alterazione”: non si tratta solo di “togliere” o “aggiungere” particolari all’immagine (o al video), ma anche di modificarne i valori di luminosità o di colore, allo scopo di alterarne l’aspetto e quindi il messaggio associato alla fruizione della stessa. Citiamo a tal proposito un recente caso [18] riguardante le “alterazioni” che avrebbe subito l’immagine vincitrice del premio “World Photo Press 2012”. In merito all’ammissibilità, ed in genere all’utilizzo in dibattimento di fonti di prova costituite da immagini e video, è sicuramente interessante quanto riportato a proposito dell’”ammissibilità e regole di valutazione per immagini” relative ai fatti del G8 svoltosi a Genova nel 2001 [19] dove il collegio replica alle obiezioni sull’utilizzo di fonti di prova, costituite da filmati che a dire della difesa non sarebbero ammissibili in quanto “formati dalla giustapposizione di materiale vario, selezionato e montato […]” sottolineando come questo non basti a determinare la loro non utilizzabilità, “fatte salve la possibilità per le altre parti di addurre elementi idonei a dimostrare eventuali difetti di genuinità e manipolazioni arbitrarie delle immagini stesse.” Per una più completa casistica sul tema si rimanda al video di una mia recente intervista pubblicata su CorriereTV [20] in cui si riportano ben 10 casi e a quanto riportato in [21] dove si discute dell’utilizzo di immagini e video ad-hoc per inscenare falsi alibi. Conclusioni Le tecniche di Image / Video Forensics costituiscono sicuramente un ulteriore strumento di indagine a disposizione degli investigatori per poter estrarre ed inferire, utili informazioni dalle immagini (e dai video) digitali. Sono stati anche introdotti alcuni concetti di base, necessari per poter comprendere i dettagli tecnici degli algoritmi presentati, con particolare riferimento alle manipolazioni (o forgery). Per essere in grado di recuperare o far emergere delle evidenze di prova è comunque necessaria una adeguata competenza specifica che richiede uno studio sistematico dei fondamenti della teoria dell’elaborazione delle immagini e dei video digitali. Gli stessi software oggi esistenti, di supporto al lavoro degli investigatori, non riescono per forza di cose ad automatizzare in maniera sistematica ed efficiente tali operazioni e richiedono l’ausilio di utenti esperti [22, 23]. ■ [18] http://daily.wired.it/news/cultura/2013/05/17/ world-pressphoto-34648.html, 2017; [19] http://www.processig8.org/Udienze%2025/ Ud.%20143/143_motivazioni-03_25.html, 2017; [20] I cacciatori di bufale digitali: «Così staniamo i falsi», CorriereTV, Marzo 2017 http://www.corriere.it/ video-articoli/2017/03/01/i-cacciatori-bufale-digitali- cosi-staniamo-falsi/e9a7a9b0-fe9b-11e6-844d- f8ea6c2a643b.shtml [21] S. Battiato, F. Galvan - Verifica dell’Attendibilità di un Alibi Costituito da Immagini o Video - Sicurezza e Giustizia - Numero II/MMXIV - pp. 47-50 – 2014; [22] http://ampedsoftware.com/authenticate, 2019; 3 In pratica si richiede che per produrre un blocco venga calcolato un blocco di dati che produce un hash con caratteristiche note, per esempio, un certo numero di cifre “0”. Siccome trovare il risultato è costoso dal punto di vista dell’energia elettrica consumata, se un nodo vuole produrre dati, è incentivato che tali dati siano “buoni”.
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